Short Expedition stories

Il nostro laboratorio dal 1972 ad oggi era impegnato in tante spedizioni dal Nord estremo  alla penisola Kamchatka. Convivere 24 ore su 24 con le stesse persone era abbastanza difficile, perciò, ogni occasione di umorismo e di risata era la benvenuta. Per ironia della sorte, in tante nostre spedizioni, eravamo in quattro con lo stesso nome, Tania, con tutte loro ho finora mantenuto buoni rapporti. Avendo ognuna di loro raccontato delle storie mi sono costretta a dare ad ognuna un identificativo diverso.

Correva l’anno 1980 e il nostro Laboratorio era impegnato in una spedizione al Nord estremo per due mesi, giugno e luglio. La spedizione era composta dal capo, dai ricercatori, da un ingegnere, dalla borsista di tesi Tania e da me, capo laboratorista, neo laureata.      

Orso bianco (racconto di Tania M.)

Per il lavoro nella spedizione abbiamo ricevuto in dotazione un binocolo da campagna ad alta risoluzione, di cui si è subito innamorato il nostro ricercatore Sasha. Egli era sempre in osservazione con il binocolo: dal finestrino del fuoristrada anfibio, a casa durante le cene, dalla finestra di casa ….  Nessuno poteva chiedere né tantomeno utilizzare il binocolo. Lo strumento era ormai privatizzato. Come ogni volta, era di routine, che durante il tempo libero Sasha scrutava con il binocolo: guardava noi colleghi, gli oggetti in casa … Abbiamo cominciato ad ammiccare l’un l’altro, per rompere il silenzio, poi il capo di spedizione dice: «Sasha, dammi il binocolo». Prende il binocolo e inizia a guardare il mare di Barents … in silenzio passano circa  5 minuti.
All’improvviso il capo dice: «Orso bianco, esatto, orso bianco, da solo … su un banco di ghiaccio …» Sasha strappa il binocolo dalle mani del capo esclamando «Dov’è l’orso bianco ?» e comincia a girare il binocolo a destra e sinistra, aumentando o diminuendo immagine, scrutando il mare dall’obiettivo … biascicando, di tanto in tanto, qualcosa, probabilmente, si lamentava della propria sfortuna, il capo aveva potuto vedere l’orso e lui no. Tutti gli altri membri della spedizione avevano ripreso la loro attività. Passano un paio d’ore e, come si è soliti a dire, la scienza è ferma. Sasha continua ossessivamente ad osservare il mare, alla ricerca dell’orso. Esausto e stizzito grida: «Dov’è questo pezzo di ghiaccio e questo dannato orso ? Non li vedo !»  Solo ora, non resistendo più, il capo spedizione gli sussurra, a bassa voce : «Sasha, abbiamo scherzato …».  Dopo questa storia, finiva il monopolio di Sasha sul binocolo, che lo utilizzò, come tutti noi, solo per lavoro.

Cabina dei piloti  (racconto di Tania L.)

La storia è successa al ritorno dalla penisola Kamtchatka. La spedizione era durata circa 3 mesi ed eravamo stanchi, soprattutto io. Per una donna vivere per 3 mesi con maschi, anche se si tratta di colleghi, non era facile. Mentre loro continuavano a scherzare, il mio umorismo era ormai morto. Ormai il mio punto di vista era nero. Non vedevo l’ora di tornare a casa ed avevo ormai smesso di pensare, eseguivo automaticamente i comandi.
Avevamo un secchio pieno di fresca carne d’orso e i nostri uomini mi hanno ordinato di fare arrivare questo secchio a Minsk. Il volo era lungo, circa 9 ore, la gente seppur stanca, dopo la spedizione, continuava a scherzare. Esaminando attentamente il  secchio ho scoperto un’etichetta su cui era scritto: «Nella cabina dei piloti». Ho letto e automaticamente stavo cominciando ad avviarmi verso la cabina, scostando la gente che stava aspettando di salire sull’aereo. Qualcuno mi chiedeva dove andavo ed io, mostrandogli l’etichetta, dicevo che dovevo andare nella cabina dei piloti. Finalmente arrivata alla cabina, ho aperto la porta dicendo: «Mi hanno ordinato di portarvi questo nella cabina dei piloti». I piloti guardano il secchio e mi chiedono: «Cosa c’è nel secchio ?». Io rispondo loro che contiene carne fresca d’orso. I piloti non hanno pensato a lungo, mi hanno ringraziato per il bel dono e, chiamando la hostess, le ordinano di preparare un bel pranzo durante il volo. A questo punto ho capito che qualcosa non andava bene, ricordavo bene l’ordine – la carne doveva arrivare a Minsk. Sono andata così ad informare i colleghi di com’era finito il loro scherzo. Ci hanno messo un pò di tempo per recuperare il secchio con la carne dalla cabina dei piloti.

Alcool Onnipotente (racconto di Tania М.)

Siamo arrivati a Murmansk, prendendo il volo da Minsk, e lì dovevamo aspettare altri due giorni prima di poterci imbarcare sulla nostra nave. La nave si chiamava «Alla Tarasova», in nome di una famosa attrice russa, ma noi, unanimemente, l’abbiamo chiamata «Allocka». La nave era come l’attrice: bella, invitante e misteriosa …. Dicevano che la nave era costruita dagli iugoslavi. La Jugoslavia, per noi a qui tempi, era una terra lontanissima e impossibile, di cui non si poteva nemmeno sognare. La nave era ferma nel porto di Murmansk, in manutenzione ed in attesa della partenza. La nostra spedizione era composta da sei membri, ma biglietti presi in anticipo a Minsk erano soltanto quattro. Dovevamo trascorrere due giorni in città, prima di partire con la nave, e in questo periodo, risolvere il problema dei due biglietti mancanti. Allora io, giovane collaboratrice, neo laureata, non avevo ancora un tema di ricerca e così mi avevano nominato responsabile del materiale di laboratorio. Questo era un incarico temporaneo, solitamente della durata di un anno, che poi veniva passato al successivo collaboratore. Nessuno dei ricercatori voleva  prendere questo incarico che consisteva nel fare l’inventario dei beni del laboratorio: tavoli, bilance, reagenti chimici, vetreria, strumentazione per poi poter effettuare le ordinazioni. Durante le spedizioni mi occupavo dell’approvvigionamento, organizzando la provvigione per il periodo di spedizione nonché l’attrezzatura scientifica. A quei tempi non avevamo valuta, ma avevamo “il liquido combustibile”, il quale, in tutti i tempi, anche ai tempi degli indiani, fungeva da valuta: con l’alcool puro si poteva acquistare tutto. Io, come responsabile della spedizione per il materiale, avevo una certa quantità di alcool puro sia per le necessità scientifiche che per altre necessità.
Comunque, i due biglietti non c’erano, e noi rischiavamo di partire senza due membri della spedizione. Decisi allora di parlare con il capitano della nave. Di cui ora non ricordo bene la fisionomia, ma si sa che tutti capitani sono persone vissute e veri marinai. Gli ho spiegato la nostra situazione precisando che la spedizione era composta da quattro uomini e due donne: io e l’aspirante Tania. Il capitano  ha risolto il nostro problema in un minuto: ha concesso a noi donne la sua cabina in cambio semplicemente di un litro di alcool puro a 96 gradi !
Due giorni sono passati velocemente, stavamo visitando la città di Murmansk, e già pregustavamo il nostro viaggio nella Cabina del Capitano! La crociera fino al villaggio Dalnie Zelentzy, dove si trovava la filiale dell’Istituto Artico di Ricerca Marina e di Oceanografia  (PINRO) è durata due giorni. Io e l’aspirante Tania abbiamo passato questi due indimenticabili giorni nella lussuosa cabina del Capitano, alimentando l’invidia della parte maschile della nostra spedizione, che ha invece trascorso la crociera nelle cabine di terza classe, praticamente in waterline. Confermando la loro idea che, essere donna e magari anche carina, è sempre meglio …                                              

Notti bianche  (racconto di Tania М.)

Nel corso della spedizione all’Estremo Nord facevamo una grande fatica ad adattarci alle notti bianche. Che cosa non si facevamo: spesso la cena diventava una veglia notturna con tanto di chitarra e canzoni, proprio perché fuori dalla finestra era sempre chiaro. La filiale PINRO ci ha affittato una piccola izba sulle “zampe di gallina” (una casetta in legno) che era vuota, non c’erano le tende. La gente sicuramente dormiva seppur con la luce, ma certo non era un sonno riposante. Alcuni avevano problemi ad addormentarsi e per questa ragione il capo ha introdotto la «siesta» dopo il pranzo – due ore di sonno. Anche noi, donne, io e l’aspirante Tania, abbiamo cominciato a pensare dove poter trovare un poco di buio per dormire finalmente bene. Nel villaggio ogni giovedì sera proiettavano dei film e così decidemmo di andare al cinema per diversificare il nostro programma culturale. Durante la nostra prima uscita al cinema ci siamo addormentate e siamo state svegliate dal personale del cinema. Finché la spedizione non fosse terminata, appurato che la sala cinematografica, rigorosamente al buio, conciliava il sonno, non ci rimaneva che andare al cinema ogni giovedì … a dormire.

Incubi di spedizione (racconto di Tania M.)

Durante la spedizione al Mare di Kaunas (lago artificiale) ci occupavamo delle questioni di acclimatazione di misida, un crostaceo di cui si nutrivano i pesci, ogni giorno pescavamo con il tramaglio la misida e successivamente contavamo la quantità di crostacei in un determinato volume d’acqua. La spedizione durava circa due mesi, due mesi di ininterrotto conteggio dei crostacei e così, dopo un certo periodo, anche nei miei sogni, solitamente senza incubi, ho cominciato a contare crostacei.
Per divertimento i miei colleghi hanno fondato il «Club Zizi» e, tutte le sere, dopo il lavoro, si portava fuori la TV, si cenava, poi si parlava, si discuteva, si fumava, si beveva, a volte si ballava e si cantava. Spesso il Club Zizi rimaneva aperto fino alle 2-3 di notte, io non reggevo così a lungo ed andavo a dormire. Dormivamo con la mia collega, Tania K., nei sacchi a pelo nella stanza di passaggio. Quando il Club, finalmente chiudeva, Sasha Golubev doveva riportare in casa la TV, attraversando la stanza di passaggio, dove noi dormivamo, passando praticamente sopra i nostri corpi chiusi nei sacchi a pelo.
Perciò nei nostri sogni c’era sempre la paura che Sasha potesse cadere sui nostri corpi, con la TV in mano, e ciò dipendeva dalla quantità di Martini bevuto.
Quindi, i sogni si dividevano in due categorie: prima delle 3 di notte sognavo che su di me cadeva la TV, dopo le  3 cominciavo a contare i crostacei nelle vasche del dopo pescaggio.

 Resistenza (racconto di Tania M.)

Nella stessa spedizione nel villaggio Dalnie Zelentzy, malgrado fossimo in estate, nella tundra, dove andavamo per effettuare gli esperimenti,  faceva molto freddo. La zona era di confine, e per poter lavorare nella tundra, le guardie di frontiera avevano rilasciato dei permessi speciali, che ci venivano controllati, di tanto in tanto, da qualche guardia che passava sui mezzi anfibi. Dal villaggio, caricata l’attrezzatura scientifica, andavamo a piedi nella tundra sui bacini temporanei, i quali, nel corso dell’estate si scongelavano solo per 30 cm e, sotto l’acqua, c’era almeno 1 metro di ghiaccio. L’aspirante Tania F. studiava la crescita e la riproduzione dei crostacei nei bacini temporanei nelle condizioni del nord estremo, e noi l’aiutavamo. Si lavorava tutto il giorno e, spesso gli uomini della spedizione, aiutavano a portare la strumentazione e poi tornavano nel villaggio. Io e Tania rimanevamo da sole, sui bacini, per tutto il giorno tornando solo per il pranzo. Ogni tanto si rimaneva nella tundra tutto il giorno e quindi io preparavo panini e the caldo. Al Nord estremo il tempo era molto variabile e spesso pioveva, il cielo era coperto da nuvole di piombo e soffiava forte il vento. I ricercatori locali raccontavano che spesso, durante l’inverno, andavano al lavoro, dal villaggio alla Stazione, legati in cordata in quattro persone, perché la forza del vento  poteva raggiungere i 200 km orari. Noi siamo stati più fortunati, organizzando la spedizione durante l’estate, ma la vicinanza all’Oceano Glaciale si sentiva spesso e, non era certo come essere in un centro termale. L’aspirante Tania era l’unica  figlia di professori, ragazza molto perseverante, onesta come un cristallo, leale e positiva. Lei non si lamentava mai delle difficoltà, ma spesso era evidente che faceva fatica: faceva freddo, le mani erano sempre nell’acqua a 5 °C e, alla fine della giornata, non c’era modo di scaldarle. La aiutavo sempre e ogni tanto le proponevo di berci 10 grammi di alcool puro, per scaldarci. Ma, da vera astemia e da persona corretta, Tania rifiutava sempre. Una volta non sono andata con Tania nella tundra, così lei ci è andata da sola, per tutto il giorno. Verso sera iniziavamo a preoccuparci perché non era ancora rientrata.  Finalmente, la porta della nostra izba si apre, e senza ancora nemmeno entrare nella stanza Tania mi ordina: «Versami dell’alcool!»
Da allora, fino alla fine della spedizione, finché lavoravamo nella tundra sui bacini ghiacciati, prendevo sempre un goccio di alcool puro e Tania non rifiutava più di bere 10 grammi per scaldarsi.                                          

    Crociera  (racconto di Tania M.)

 Questo caso è successo nella stessa spedizione al Nord Estremo. Avevamo bisogno, per motivi di lavoro, di andare in mare per raccogliere delle prove di invertebrati. Abbiamo concordato con la direzione della Stazione PINRO di avere per 1 giorno una  piccola nave scientifica. L’uscita in mare era stata stabilita al mattino e dovevamo essere all’imbarcadero presto. Così la mattina successiva eravamo tutti all’imbarcadero, la nave c’era, ma vuota. Cosi abbiamo aspettato circa un’ora. Finalmente è arrivato un marinaio: nero come uno zingaro e con l’anello al naso. Ci ha detto che  l’uscita in mare non ci sarebbe stata perché il capitano dormiva ancora. Noi avevamo assolutamente bisogno di fare questa uscita e così abbiamo mandato qualcuno a svegliare il capitano. Il capitano era reduce da una sbronza e, dopo più o meno un’ora, si è avvicinato a tentoni alla nave. Barcollando ma con voce decisa ha detto: «Adesso prendiamo un the e andiamo al mare».  Ha preso la tazza, ha buttato dentro tutto il pacchetto di the nero, l’ha riempita di acqua bollente, ha agitato il the e se l’è bevuto tutto. Dopo di che ha ripetuto lo stesso procedimento con un altro pacchetto di the nero, ha bevuto e ci ha detto: «Adesso andiamo al mare». Alla fine, siamo usciti in mare, circa 4 ore dopo l’orario pianificato. Quando il capitano si è definitivamente svegliato, si è manifestato molto socievole concedendoci, per almeno un’ora, il timone di guida.

 Crociera  2 o Altro punto di vista della stessa storia … 29 anni dopo   (racconto di Tania F.)

Indubbiamente il ricordo più esotico dell’epopea di Murmansk – il nostro viaggio sulla nave di ricerche scientifiche “Тoros”.
Noi donne bevevamo poco e, per questo, eravamo i membri del collettivo scientifico più capaci di ragionare e di lavorare, una volta usciti in mare aperto verso l’Oceano Glaciale (in verità, siamo usciti nel mare di Barentz). Noi due ragazze si mettevano in evidenza più degli altri, e gironzolavano sulla nave manifestando curiosità (gli altri erano stesi senza nei rispettivi letti). L’appetito era normale: quando abbiamo cominciato a mangiare la zuppetta nessuno, a parte noi, la voleva mangiare. L’unico problema era di riuscire a cacciare il piatto con la zuppa che scappava sul tavolo (rollio!).
Mentre gironzolavamo sulla nave, abbiamo incontrato il Capitano (infuriato perché cercava qualcuno che lo sostituisse al timone), che ci ha detto, “State qua, io vado a cercare la gente”. Noi  (“non la gente”) abbiamo ricevuto da lui l’incarico di tenere il timone nell’esatta posizione. Il timone era molto pesante. E il capitano non arrivava. All’inizio lo tenevamo a turni, poi, stanche, abbiamo tentato di tenere la direzione ordinata in due.
Quando il capitano è finalmente tornato, ha cambiato faccia e ci ha buttate fuori, ha cominciato a ruotare velocemente il timone in direzione opposta. Ha pure alzato la voce, dimenticandosi dell’abituale flemma, urlando: “Dove state andando, di là il Polo Nord !”
Se avesse fatto un altro giretto sulla nave, di sicuro, il nostro “Toros” avrebbe incontrato iceberg.

  Serpenti artici  (racconto di Tania M.)

Durante la spedizione, per divertirsi, la parte maschile faceva sempre piccoli scherzi e, soprattutto scherzava su Tania F., che credeva a tutto. Abitavamo in una piccola casa di legno su palafitte, perche la casa era costruita sull’acqua, cosi abbiamo costruito delle passerelle come a Venezia. Nella casa c’era una stufa che noi, con piacere, accendevamo per scaldare la casa stessa e per preparare da mangiare. C’era una sala da pranzo, un’altra sala che è diventata la camera dove dormivano gli uomini e una terza stanza, dove dormivamo io e Tania F. Non esistevano porte tra le varie stanze. Pensavamo come effettuare la separazione tra le stanze delle donne e quella dei maschi. Non c’era molta scelta e così abbiamo preso la decisione: i maschi dormono nella stanza di passaggio, nei sacchi a pelo e, per noi ragazze, hanno messo sul vano della porta un lenzuolo con la scritta: «Tania Mikha bussare 1 volta, Tania Filya bussare 2 volte». Anche noi dormivamo nei sacchi a pelo. Una notte io e Tania ci siamo svegliate perché qualcosa si muoveva sotto i sacchi a pelo. Ho tremendamente paura dei serpenti e Tania non è da meno. Ci siamo alzate urlando: «Serpenti !», come se ci avessero già morsicato e abbiamo cominciato a cercare, cosa si muove sotto i  nostri sacchi. Ma poi la nostra paura è subito passata, quando ho detto a Tania: «Nel circolo Artico non ci sono serpenti, perche urliamo?». In questo preciso istante il nostro lenzuolo-porta si apre ed appaiono i nostri scienziati sorridenti, non avevano sonno e così hanno messo sotto i nostri sacchi delle corde che muovevano, imitando il  movimento dei serpenti.
Abbiamo detto che i nostri scienziati assomigliano poco a scienziati, ma a bambini della 3 a elementare. In ogni caso, l’umorismo nelle spedizioni, è molto apprezzato. 

          Sogliola crocefissa (racconto di Tania M.)

Nella vasche della filiale dell’Istituto, nel villaggio Dalnie Zelentzy, nuotava sempre della fauna marina: granchi, pesci, – tutto ciò che pescavano in mare. C’erano là delle enormi sogliole, da mezzo metro. Per diversificare la nostra tavola, e perche raramente uscivamo in mare, abbiamo ricevuto il permesso, dai collaboratori dell’istituto, di pescare due sogliole di buone dimensioni.  Abbiamo portato i pesci a casa per preparare la cena. Le sogliole erano scivolose e avevano la pelle grossa. Immobilizzando i pesci, abbiamo tentato di togliere loro la pelle, ma i pesci erano troppo scivolosi. Cosi eravamo costretti a mettere due chiodi, uno vicino alla coda e l’altro vicino alla testa, per poter fissare il pesce e togliergli la pelle. Sensibile com’è l’aspirante Tania, osservando questo procedimento, ha detto che non mangerà mai queste povere sogliole. Così noi facevamo a fare la nostra carognata, con la pelle del pesce, proprio davanti agli occhi di Tania. Lei era triste e silenziosa. Finalmente il processo è arrivato fino alla stufa: abbiamo pulito il pesce e messo nel forno. Ad un certo punto l’isba si è riempita di un appetitoso profumo di pesce. Poco dopo eravamo a tavola, quasi tutti. Tania aveva ancora dei dubbi, mangerà il pesce o no, poi finalmente si è decisa unendosi a noi e, quando i primi pezzettini di morbido profumato pesce cotto al forno si sono sciolti nella sua bocca, Tania si è completamente dimenticata di tutte le sue preoccupazioni.
Abbiamo brindato per la scienza e la razionalità.

Sorte femminile

Durante la spedizione  per l’acclimatazione delle miside nel lago artificiale di Kaunas accadevano diverse storie. La spedizione svolgeva nel periodo estivo dal 1975 al 1977 il Dipartimento di Zoologia dell’Accademia di Scienze di BSSR. La spedizione era guidata dal capo del laboratorio Nina Nikolaevna Khmeleva ed era composta da 5 ricercatori  e 4 Tania: 3 laboratoristi e 1 stagista, io inclusa, perche  studiavo ancora all’Università.
Durante la spedizione, le donne, a turno preparavano da mangiare. Come nei tempi antichi, la donna era il “custode del fuoco”. In seguito, soprattutto dopo l’esperienza delle spedizioni asiatiche, i colleghi uomini, per scherzo, ci facevano notare che nei paesi asiatici le donne non venivano nemmeno ammesse a pranzare insieme agli uomini.
Avevamo poco più di 20 anni e indubbiamente nessuno di noi sapeva fare da mangiare … E così i colleghi uomini ci prendevano in giro …

La pappa di miglio (racconto di Tania F.)

Io non sapevo fare da mangiare e così ho preso con me il vecchio libro di culinaria di mamma, dove era scritto come preparare la frittata. In più, questi stronzi (colleghi maschi), mi costringevano ad economizzare con il cibo, si mangiava con 1 rublo al giorno, il resto veniva accumulato per il ristorante “Backonis”.
Allora, ho preparato il piatto più economico, la pappa di miglio. Questa pappa non è facile da fare, se non si sa fare, viene amara. Naturalmente, l’ho fatto amara ! Alla cena nessuno era contento, non hanno mangiato le loro porzioni, sono andati a dormire tristi e mi hanno ordinato per la colazione delle frittelle. Mi sono alzata alle 6, ho aperto il libro di mamma, – urrà !, ho trovato una ricetta fantastica ed economica ! Si richiedeva della pappa di miglio fredda per fare un impasto, infarinarlo e friggerlo come frittelle. E questo piatto si chiama “pshenicniki”.
A colazione gli uomini si sono meravigliati: “com’è brava Tania, ha fatto delle appetitose frittelle ! O frittelle di ricotta ?” Io sto zitta. Ne hanno mangiata una, qualcuno non ha capito e ne ha mangiate due – con dentro la stessa amara pappa di miglio della sera prima ! Scende il silenzio ! Finalmente Tolik Bakulin chiede: “Cosa ci dai da mangiare ?” Io rispondo con orgoglio – “pshenicniki !”  Tutti si sono alzati e sono andati. Dopo un’ora li hanno visti nel campo a raccogliere l’acetosella, dalla fame …

 Semolino di pietra.  Una storia simile è accaduta anche a me. (racconto di Tania M.)

Durante lo studio all’Università per la stagione estiva facevo volontariato alla Stazione Biologica che si trova al pittoresco lago Narotch al nord della Bielorussia. Ero tuttofare ma, nello stesso tempo, imparavo le metodiche idrobiologiche. Durante la stagione estiva, a parte i collaboratori di ruolo della stazione, arrivavano altri collaboratori dall’Università di Minsk e in cucina si facevano i turni per cucinare. Il menù, di solito, lo ordinavano i collaboratori. Aspettavo con orrore il mio turno in cucina. Probabilmente, siccome ero la più giovane, mi hanno ordinato la cosa più semplice – fare la pappa di semolino per colazione. Anche il semolino, senza esperienza, non era facile da preparare. Facevo le stregonerie con gli ingredienti ma, alla fine, la pappa è venuta di pietra. Da quel giorno i collaboratori scherzando mi ordinavano di preparare il “semolino di pietra”.

     Carne di cane stufata al sugo di pomodoro  (racconto di Tania M.)

 Al cibo erano collegate tante storie. Come sempre il filo conduttore durante le spedizioni era l’economia: per il vitto ci pagavano 1 rublo al giorno e dovevamo economizzare per accumularli per un buon banchetto o un’uscita al ristorante.
Questa storia è accaduta in una delle tante spedizioni a Beloosersk al bacino raffreddante della Stazione Idroelettrica. In questa base abbiamo lavorato per circa 10 anni e il personale d’aiuto si dava spesso il cambio durante il periodo estivo. Questa volta abbiamo assunto un laboratorista temporaneo che si chiamava Genia, persona carismatica. Lui affermava che di origine era uno zingaro austriaco. Il fatto che potesse essere uno zingaro lo si poteva dedurre dalle sue abitudini. Genia  ci ha insegnato alcune parole della lingua zingara e, come spesso succede, una nuova lingua si comincia ad imparare dalle parolacce. Genia ci ha avvisato però, di non usare mai queste parole in presenza degli zingari: ti ammazzano.
Un giorno Genia ha cacciato dei piccioni e ne ha preparato un piatto con sugo di pomodoro, fingendo che la carne fosse di gallina. Un’altra volta ha preparato un vero banchetto: ha cucinato tanta carne stufata, come di sua preferenza, con sugo di pomodoro. La carne era buona, e la mangiavamo con appetito, facendo ditirambi a Genia, e qualcuno curioso ha chiesto di chi carne si trattasse. Genia non muovendo neanche un occhio ha risposto: «Manzo». Nello stesso momento uno dei collaboratori ha trovato nella carne un pezzo di capelli … Tutti guardavano Genia, aspettando una rispostа. «Ma cosa c’è di strano, – ha risposto Genia, – un cane correva qua…».  Qualcuno cercava di sopprimere lo stimolo di vomito mentre qualcun altro correva già in un angolo a vomitare la cena …
Al mattino non abbiamo più trovato, tra i cani dell’azienda piscicola, il cane di nome Seriy …

   Avaria (racconto di Tania F. )

Mi stancavo infinitamente: di giorno facevo da mangiare, di sera e di notte mi occupavo della scienza. L’unico riposo era il prendere la bicicletta del padrone, andare nei campi, sdraiarmi sull’erba e dormire.
Una volta mi sono azzardata ad andare in bici al Kauno Marios (Lago artificiale). Da sola, sulla strada asfaltata, dove non c’era nessuno. All’improvviso, al bivio della strada, da destra arriva una macchina. Mi sono spaventata e stavo per girare a sinistra, ma non sono riuscita a farlo e sono finita in un bivio dove c’era un grande albero, un salice. Verso il bivio c’era anche una ripida discesa così sono finita dentro il salice ad alta velocità. Ho rotto con i rami tutto ciò che potevo, incluso il viso. Mi hanno trovato Matusevitch, Golubev e Bakulin che tornavano dal lago, io da sola non potevo nemmeno liberarmi dalla bicicletta!
Loro si sono spaventati perché ero tutta insanguinata. E’ per questo che poi ridevano tanto, anche perché alla fine è finito tutto bene. Mi hanno portato alla fattoria, mi hanno ripulito il viso, con l’alcool sulle ferite, ed io piangevo ed urlavo dal dolore. C’è voluto più di un mese prima che guarissero le croste sulla pelle, avevo un aspetto terribile, come Frankenstein.

         Lezioni di  tiro  (racconto di Tania L.)

La storia è accaduta durante la spedizione nella penisola Kamcatka. Eravamo là per 3 mesi, da marzo a maggio. Il tempo era abbastanza freddo e, spesso, ci nascondevamo dal freddo nelle sorgenti caldi dove facevamo il bagno. Quindi, il problema del freddo ero risolto, il problema del cibo pure – sulla penisola dove eravamo, vicino al fiume Khodutka, c’erano tantissime lepri e i  colleghi uomini le sparavano. La carne non mancava ed io, come donna della spedizione, escluso il capo, dovevo fare da mangiare  ma prima dovevo spellarle. C’erano tante lepri e, una volta, ho ordinato:  chi spara ad una lepre la deve pulire prima di consegnarla in cucina.
Come sempre, era richiesto l’umorismo. E’ per questo che i colleghi uomini cercavano sempre qualcosa su cui scherzare.
Tutti sapevano che sulla penisola ci sono gli orsi. Ma nessuno li ha visti da vicino. Una volta sono andata da sola al fiume Khodutka. Il fiume non era grande, circa 10 m di larghezza. Stavo sciacquando delle cose nell’acqua, quando all’improvviso vedo sulla riva opposta un orso, mi ha visto e, quando è entrato nell’acqua, io ho cominciato a correre. 10 metri per un orso sono una piccola distanza. Ho lasciato tutto sulla riva e sono corsa al campeggio. Sono arrivata, ho raccontato tutto, e mi sono tranquillizzata.
La mattina dopo nel  campeggio è uscito un ordine:  dare urgentemente a Tania lezioni di tiro. Mi hanno dato il fucile, mi hanno spiegato come tenerlo, come caricare, come fare scattare il grilletto, hanno messo il bersaglio. Si sono seduti tutti vicino ad osservare. Ho caricato il fucile, come mi hanno insegnato, ho abbassato il grilletto e, al momento dello sparo, la rinculata era talmente forte che ho perso il fucile. Provo la seconda volta e perdo di nuovo il fucile. Terza volta, perdo ancora il fucile.
I colleghi erano a terra e crepavano dalle risate.
Quel giorno lo spettacolo era loro garantito, ma io non ho imparato a sparare, soprattutto ad un orso.

06.01.2010

Disegni a matita di Tatiana Mikhaevitch